La crisi del sistema giolittiano iniziò alla fine del XIX secolo, quando i liberali e i democratici, uniti nelle forme di opposizione al regime di Giolitti, si unirono per protestare contro le sue politiche, accusando il suo governo di ignorare le principali istanze sociali. Giolitti aveva proposto diverse politiche, tra cui il passaggio alla liberalizzazione dell'economia, la regolamentazione dei lavoratori, la creazione di grandi opere pubbliche e l'introduzione di leggi di liberalizzazione - tutte volte a rafforzare il sistema politico italiano attraverso la liberalizzazione dei mercati. Tuttavia, non tutti condividevano le stesse opinioni su come interpretare e mettere in pratica queste politiche. Una delle conseguenze più importanti della crisi del sistema Giolittiano fu il crollo del Partito Socialista Italiano (PSI). Il PSI aveva sostenuto Giolitti per molto tempo, ma con la crescente opposizione alla sua politica, il partito abbandonò il suo sostegno al Primo Ministro. Questa decisione fece evolvere il partito in un più radicale gruppo di sinistra, che in novembre del 1914 si scindette in due, costringendo Giolitti a dimettersi definitivamente. La crisi del sistema Giolittiano contribuì anche all'insorgenza della Prima Guerra Mondiale. La situazione politica in cui Giolitti era al potere era diventata così instabile che nel 1915 l'Italia firmò l'accordo tripartito con Austro-Ungheria e Germania - un accordo che decretò l'ingresso dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale. Infine, la crisi del sistema Giolittiano ha anche portato all'ascesa di nuovi movimenti politici, come il movimento fascista. Il Fascismo aveva come obiettivo quello di introdurre ordine e stabilità in Italia, cosa che l'esperimento politico di Giolitti non era stato in grado di fare. Di conseguenza, il fascismo tese a sovvertire le traballanti radici di governo di Giolitti ed emerse come vera e propria forza di opposizione nella crisi delle Istituzioni italiane.